Carlo Conte Osteopata napoli Vomero

Chi sono

la mia storia,
le mie avventure,
la nascita di una passione,
una missione…

La “camorra” dei busti

Avevo tredici anni quando iniziai a soffrire di un forte mal di schiena, e pensando fosse solo un problema transitorio, lasciai passare alcuni mesi prima di dargli peso. Come ogni adolescente praticavo diversi sport, calcio, palestra, corsa, che purtroppo dovetti limitare in intensità e frequenza a causa di questi forti mal di schiena. Questa situazione dal punto di vista psicologico fu una vera e propria seccatura, vista anche la mia giovane età. Quando insieme ai miei genitori decidemmo di affrontare il problema fu l’inizio di un vero e proprio calvario!

Il primo medico a visitarmi fu un ortopedico ospedaliero piuttosto famoso. Mi fece spogliare e senza nemmeno toccarmi mi disse: “hai un dorso curvo giovanile, devi mettere il busto tutto il giorno per sei mesi tranne la notte”. Così, su due piedi, la notizia fu davvero sconvolgente, un vero e proprio trauma! Per un ragazzino di tredici anni l’idea di mettere un busto è qualcosa di catastrofico, molto peggio di utilizzare l’apparecchio per i denti. Al primo anno di liceo si bada molto all’aspetto estetico, al proprio corpo, al modo di vestirsi e sapevo che indossare il busto a scuola mi sarebbe costato parecchio imbarazzo.

Di lì in poi come in una catena di montaggio venimmo indirizzati ad un reparto per prendere le misure e commissionare quella specie di tortura cinese: un corpetto rigido con una stecca fissa sotto il mento che mi manteneva sempre dritto come un soldatino. Facemmo delle prove con il tecnico, e ricordo che avevo difficoltà a respirare mentre camminavo, ma lui mi disse “è tutto normale”. Inizialmente rispettai la prescrizione, lo indossavo subito dopo la colazione e lo portavo anche a scuola, utilizzando delle tute molto larghe per mascherarlo al meglio. Il mal di schiena però non passava, anzi, forse proprio in quel periodo era ancora più forte di prima. Dopo un paio di mesi senza risultati capimmo che non sarebbe stata quella la strada giusta.

Il luminare della zeppa

Venni successivamente portato a visita da un anziano ortopedico in provincia di Caserta, un “luminare” dai capelli bianchi e il viso solcato dalle rughe. Mi fece accomodare guardando controluce la radiografia e la risonanza magnetica, che nel frattempo avevo fatto per escludere le “cose brutte” sotto consiglio del medico di base. Immaginate per un ragazzino nel pieno dello sviluppo che impatto negativo possano avere degli esami così invasivi.

“Il busto buttatelo non serve a niente! Dovete sapere che…”

Devi sapere che ci spiegò per filo e per segno gli accordi economici che c’erano fra il primo medico che mi visitò e le ortopedie. In pratica questo ortopedico, era famoso fra i colleghi per la prescrizione facile del busto a tutti quelli che gli capitassero a tiro. Perché? Perché aveva degli accordi economici con l’ortopedia, e su ogni busto prescritto guadagnava una percentuale a discapito della salute fisica e psicologica dei giovani pazienti! Come se non bastasse dopo quella rivelazione scioccante, il dottore mi pose le mani sul bacino decretando: “tieni una gamba più corta dell’altra, devi mettere una zeppa!”.

I miei genitori allarmati chiesero se fosse necessario un plantare fatto su misura. L’ortopedico con molta leggerezza disse che bastava andare dal calzolaio, chiedere una zeppa di sughero e metterla sotto il tallone. Ci sembrò strano ma eseguimmo. Inutile dirti che i risultati furono disastrosi. Ti lascio immaginare come il mio corpo rigettò un rialzo imprecisato sotto al piede. Come la mia colonna vertebrale venne martoriata dalla superficialità di questi cosiddetti luminari.

Un fisioterapista un po’ particolare

Trascorsero ancora dei mesi e continuavo a soffrire di mal di schiena costanti. Avevo smesso ormai di praticare qualsiasi sport. Il destino volle che un giorno quasi per caso, sentimmo parlare da amici di famiglia di un fisioterapista nella provincia di Napoli, che aveva risolto problemi a tante persone con delle tecniche un po’ strane. Ero molto curioso e speranzoso quando andammo al suo studio.

La visita, per la prima volta, durò circa un’ora, a dispetto delle velocissime visite ortopediche, e riuscì ad individuare senza che glielo dicessi alcune zone dolorose del mio corpo. Mi spiegò cosa fosse la postura, che questa non era influenzata solo dai muscoli, ma anche dai denti, dagli organi, dalle emozioni. In effetti era un periodo non facile della mia vita.

L’adolescenza è un momento di grandi cambiamenti non solo ormonali ma anche psicologici, che hanno a che fare col raggiungi-mento della propria indipendenza, della propria libertà di pensiero, della propria autoaffermazione. Il trattamento fu a dir poco misterioso, con una serie di manovre manuali che non riguardavano solo la schiena. Ricordo che mi mise un mignolo in bocca spingendo su una zona dolorosissima, mi toccò la pancia, mi disse di mangiare meglio, di non abusare troppo della cioccolata per cui invece andavo matto. In fine con dei gesti a dir poco eleganti mi scrocchiò dall’osso sacro fino alle vertebre cervicali.

Fu una scarica di adrenalina!

Grazie a quelle terapie il mio mal di schiena sparì magicamente in poche settimane, dopo un’epopea durata mesi e mesi. Questa esperienza inoltre mi fece capire quale sarebbe stata la mia strada: anch’io sarei diventato un fisioterapista un po’ particolare! Solo dopo diversi anni ho scoperto che quel personaggio così interessante era in realtà un osteopata. Quando l’ho scoperto avevo già superato i durissimi test d’ingresso all’Università di Fisioterapia, per entrare nel centro di eccellenza di tutto il Sud Italia: il Polo Didattico Don Carlo Gnocchi della Seconda Università degli Studi di Napoli. Detto così suona bene, se non che questo polo di eccellenza si trova a più di ottocento metri di altezza in un minuscolo paesino in provincia di Avellino, Sant’Angelo dei Lombardi. Un posto molto lontano da Napoli sia per distanza che per stile di vita.

Perché sono finito lì? Perché erano molte le voci che quell’anno a Napoli i raccomandati avessero già tanti posti assegnati dalla politica, e che quei pochi posti rimasti erano stati comprati per cifre intorno ai 30.000 euro! Ovviamente queste erano solo voci di corridoio.

Il mio punteggio fu altissimo, e mi sembrò paradossale che avendo il Primo Policlinico a pochi passi da casa, sarei dovuto andare a vivere da solo in un posto così lontano. Per mia fortuna quello di Sant’Angelo dei Lombardi è stato davvero un polo di eccellenza, e il fatto di vivere da solo immerso dodici ore al giorno nell’ambiente ospedaliero è stata una grande esperienza. Dopo il primo anno ero così soddisfatto della qualità degli studi che nonostante se ne fosse presentata l’occasione, non feci domanda di trasferimento. Decisi di mia spontanea volontà di restare in quella sorta di ritiro spirituale per imparare fra corsi, e più di 1500 ore di tirocinio, tutto ciò che c’era da sapere sulla Fisioterapia.

Lo stregone al box numero 5

Nonostante fosse una materia molto interessante, durante il tirocinio in fisioterapia non si sentiva mai parlare di postura, di visceri, di emozioni e non avevo visto ancora nessuno scrocchiare una vertebra. Esposi i miei dubbi ad un tutor del terzo anno che mi affiancava durante le prime esperienze in reparto e la sua risposta fu: “Carlo, secondo me quello che cerchi tu è un osteopata non un Fisioterapista. Al box numero 5 c’è un tutor che fa queste cose strane, lo chiamano lo stregone, dicono risolva un sacco di problemi manipolando la pancia. Trova una scusa per farti visitare da lui…” sghignazzò.

Lo stregone… forse era proprio quello che cercavo! Andai curioso al box numero 5 e il tutor stava trattando una collega logopedista che aveva mal di schiena. Attesi la fine del trattamento e chiesi gentilmente di darmi un’occhiata, perché avevo sentito parlare molto bene di lui. Ricordo con chiarezza impressionante quella scena. La stanza era molto illuminata, c’era un bel sole che entrava dalla finestra, lui aveva sempre una piantina sul davanzale. Io ero in piedi di fronte a lui, mi fece girare di spalle, mise una mano al centro della mia testa e dopo pochissimi secondi esclamò: “il tuo problema è lo stomaco!”.

Per un attimo sbarrai gli occhi. Come aveva fatto?! Lui non mi conosceva minimamente! Era la prima volta che mi vedeva. Nessuno, se non il mio coinquilino, sapeva che in quel periodo soffrivo di gastrite. Mi fece stendere continuando a poggiare le mani delicatamente in alcuni punti del corpo, in un modo simile a quello che avevo già visto fare. Questa volta le mani erano ancora più precise, sensibili, leggere, e venivano guidate esattamente nei punti più tesi. Gigi, così lo chiamo ancora, era al quarto anno di Osteopatia, e aveva già una mano sopraffina che gli consentiva di ascoltare i messaggi del corpo.

Gigi mi spiegò che l’osteopata non cura solo le ossa ma anche gli organi. Mi spiegò che la gastrite poteva migliorare con le manipolazioni e che era collegata alle tachicardie, alla spalla sinistra e al torcicollo perché il corpo è tutto collegato. In effetti questi sintomi li avevo tutti in quei momenti di forte stress universitario. Un altro periodo di passaggio che, come l’adolescenza, impone cambiamenti a cui il corpo e la mente devono adattarsi. Quel giorno Gigi mi aveva aperto un mondo. Un mondo speciale di cui volevo assolutamente fare parte. Quel mondo si chiamava Osteopatia.

Il dottore pazzo

Prima di iscrivermi ad Osteopatia avrei dovuto concludere al più presto gli studi in Fisioterapia. Terminati gli esami arrivò il momento di scegliere un relatore per la tesi ed io non avevo dubbi. Tutti i miei colleghi si azzuffarono per accaparrarsi il professore più buono, più disponibile o il più promettente dal punto di vista della carriera, una volta usciti dall’università. Io non mi azzuffai con nessuno. Nessuno voleva il mio relatore. Nessuno, in dieci anni alla Don Carlo Gnocchi aveva mai scelto e nemmeno mai pensato di scegliere il prof. Luigi De Rienzo, lo psichiatra! Lo incrociai nei corridoi e senza esitazione gli chiesi di farmi da relatore. Mi guardò un po’ perplesso e un po’ sorpreso. Il corso di psichiatria per fisioterapisti era piuttosto marginale.

“E di che cosa vorresti parlare nella tua tesi?”

“Mi piacerebbe parlare del rapporto fra psiche e postura”

“Ah, bellissimo! Mettiamoci subito a lavoro.”

Era un tipo bizzarro il prof. De Rienzo. Somigliava molto a Freud. Aveva il pizzetto bianco e i capelli un po’ tirati indietro. Era il mese di Marzo quando in reparto il suo il telefono squillava in continuazione.

“Ah… non mi lasciano in pace nemmeno un minuto. Questo mese escono sempre tutti pazzi!”

“Come mai?” chiesi scherzando.

“È tutta colpa dell’Equinozio! A Marzo e a Settembre il nostro reparto si riempie, perché le persone emotivamente instabili nei cambi di stagione perdono la bussola”. Disse con serietà.

Mi consigliò di leggere di un tale Alexander Lowen, un medico radiato dall’ordine perché inventore di una disciplina chiamata “bioenergetica”. Lowen affermava che le nostre emozioni, il nostro carattere, la nostra personalità si rispecchiano attraverso la nostra postura. Quel periodo ponevo le basi per la mia conoscenza del rapporto fra mente e corpo, che non trascuro mai nella mia attività e che tutti i giorni mi aiuta a ricordare che dietro un paziente c’è il suo vissuto, la sua storia, le sue emozioni, e che un dolore nel corpo può essere l’espressione di un malessere interiore.

La prima battaglia contro le convenzioni

Il rettore della mia università era un professore dall’approccio classico e convenzionale, così come tanti altri medici presenti alla seduta di laurea. Per il mio bene la direttrice mi sconsigliò una tesi così innovativa e particolare, e soprattutto mi aveva vietato di inserire il termine Osteopatia all’interno della tesi, perché molti dei presenti non sarebbero stati d’accordo. Ovviamente non ho fatto nulla di tutto questo.

Il titolo “Rapporti fra psiche e postura” è stato impresso color oro sulla mia tesi, e il finale della mia relazione sottolineava l’importanza del trattamento osteopatico nella cura delle problematiche posturali. Fu un vero successo e tutti, compresi i professori più scettici, si appassionarono all’interpretazione della personalità attraverso la postura. I preconcetti e la rigidità avevano lasciato spazio all’apertura mentale, alla libertà di pensiero e all’ammissione che la medicina debba recuperare una visione del paziente a 360°.

Terminata l’Università mi iscrissi al primo anno di Osteopatia in uno dei College migliori d’Italia. Finalmente anch’io, come Gigi, avevo l’occasione di imparare dai migliori Osteopati del mondo con professori di calibro internazionale come A. J. De Koning, Jonathan Parsons e Jean Pierre Barral in persona.

Il mio libro

Le mani giuste

UN VIAGGIO AVVINCENTE PER CAPIRE CHE COS’È L’OSTEOPATIA E COME, CON ESSA, PUOI GUARIRE SENZA RICORRERE AI FARMACI.

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osteopata - Osteopatia Carlo Conte